Nella città di Burgio, in anni recenti, è stata individuata un’area di scarico degli scarti di lavorazione delle più antiche produzioni ceramiche burgitane. Il ritrovamento ha portato la Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Agrigento a progettare e realizzare un intervento di scavo condotto con metodo stratigrafico, nell’ambito dei finanziamenti P.O.R. 2000-2006, i cui risultati arricchiscono la conoscenza sulle produzioni locali, artistiche ed artigianali, a partire dal XVI secolo quando, secondo le ricostruzioni storiche, la cittadina vive un momento di grande prosperità, assumendo un ruolo fondamentale nell’economia della zona. Diviene infatti un centro di produzione di rilievo di manufatti fittili che esporta nei comuni limitrofi e tesse una fitta rete di rapporti con il centro di Sciacca, città con la quale sono intensi sia i contatti culturali che gli scambi commerciali. Attraverso Sciacca, Burgio si apre anche a contatti esterni.
Il saggio di via Santa Croce
Nel saggio di via Santa Croce lo scavo ha restituito importanti strutture murarie che, in una fase della loro vita, sono state funzionali ad attività connesse con la produzione ceramica. Questa fase d’uso è stata preceduta da un periodo di frequentazione più antico, che si data a partire dalla prima metà del Cinquecento. Le strutture murarie più antiche vengono inglobate all’interno di un grande edificio, di cui è stato individuato un vano, che si impianta livellando il banco marnoso della collina. La vita di questa seconda struttura sembra concludersi nella seconda metà del Cinquecento, quando i resti murari dell’edificio in disuso vengono recuperati in un’operazione di terrazzamento dell’area. Lo spazio compreso tra i muri, che vengono superiormente livellati, diventa un’area aperta, al di sopra e intorno alla quale vengono scaricati gli scarti della lavorazione della ceramica: prodotti mal cotti, deformati o rotti sia nella fase di cottura del biscotto sia nella fase di fissaggio dello smalto. L’area, inoltre, così come è stato confermato dalle analisi paleobotaniche, viene utilizzata per lo scarico dei resti della combustione di materiali legnosi all’interno delle fornaci. Il butto presenta una certa omogeneità, sia cronologica che stilistica. Numerosi i frammenti figurati, che denotano la vivacità e la ricchezza di riferimenti culturali della bottega che produce lo scarico. Molti dei motivi decorativi utilizzati, infatti, rappresentano una rielaborazione di temi presenti in botteghe ben più note e importanti rispetto alla nostra che, seppure attardandosi in temi ormai desueti in altri contesti produttivi, presenta notevoli caratteri di originalità e autonomia stilistica.
Il saggio di vicolo Vallone
Il saggio ha restituito numerose tracce riferibili all’attività di scarico di fornaci che si sono succedute nell’area fino agli anni settanta del secolo scorso. Gli strati più recenti hanno rimescolato e sconvolto un consistente scarico di materiale ceramico inquadrabile tra gli inizi del XVII ed il XVIII secolo. L’imponente quantità di frammenti ceramici si trovava frammista a strati di terra che contenevano numerosi elementi relativi alla lavorazione della ceramica: chiodi fittili utilizzati come distanziatori durante la cottura dei vasi, scorie di lavorazione, terre colorate, nuclei di ferro contenenti grumi di giallo ferraccia, una macina compresa di pestello litico, grossi frammenti di mattoni appartenuti a fornaci. Per quanto riguarda la maiolica policroma, nel butto sono attestate numerose forme, in prevalenza aperte. La decorazione si presenta corrente e ripetitiva. I motivi decorativi, prevalentemente floreali e stilizzati, sono resi in blu, giallo e verde, rari sono i frammenti con soggetti animati. L’omogeneità e la ripetitività del materiale lascerebbero pensare che lo scarico di Vicolo Vallone possa essere riferito quasi completamente ad un’unica bottega i cui prodotti erano destinati ad una committenza piuttosto modesta per un uso quotidiano. Dallo stesso butto provengono inoltre numerosi frammenti di terrecotte figurate di uso devozionale e una notevole quantità di frammenti di ceramica da fuoco.
Il quartiere dei figuli
L’assenza di strutture murarie nel saggio di Vicolo Vallone lascia supporre che l’area, nel periodo tra la fine del XVI ed il XVII secolo, sia rimasta libera da costruzioni.
D’altra parte, in documenti della fine del Cinquecento l’area nella quale si sono svolte le indagini viene indicata come Contrada Garella, a ribadire, probabilmente, la sua estraneità al tessuto urbano. Il quartiere dei figuli, dunque, alla fine del Cinquecento si trovava fuori dal perimetro urbano, in un’area in cui gli stazzoni dovevano essere disposti a notevole distanza l’uno dall’altro. Un altro dato emerge dallo studio delle classi ceramiche: si tratta quasi esclusivamente di ceramica da cucina e da mensa, sia acroma che smaltata ed invetriata, con piccole presenze di terrecotte figurate e di vasi di uso domestico. Sembrerebbe dunque che l’area di Contrada Garella, a partire dalla fine del XVI secolo, fosse destinata alla produzione esclusiva di ceramiche di uso domestico e sembra dunque probabile l’ipotesi che in questo periodo a Burgio ci potesse essere una distribuzione ragionata degli spazi destinati alle produzioni ceramiche con la conseguente creazione di aree produttive specializzate.